If our need for status is fundamental, this discomfort we feel about admitting it may seem surprising. But we tend to believe the brain’s heroic story, not the subconscious realpolitik of the game. To admit to being motivated by improving our rank risks making others think less of us, which loses us rank. Even admitting it to ourselves can make us feel reduced. So our awareness of our desire for status eats itself. We readily recognise it in rivals and even use it as a method of insult – which, ironically, is status play: an attempt to downgrade others and thereby raise ourselves up.
Se il nostro bisogno di status è fondamentale, il disagio che proviamo nell'ammetterlo può sembrare sorprendente. Ma tendiamo a credere alla storia eroica del cervello, non alla realpolitik subconscia del gioco. Ammettere di essere motivati dal miglioramento del nostro rango rischia di farci perdere stima agli occhi degli altri, il che ci fa perdere rango. Anche ammetterlo a noi stessi può farci sentire inferiori. Quindi la consapevolezza del nostro desiderio di status si auto-consuma. Lo riconosciamo prontamente nei rivali e lo usiamo persino come metodo di insulto, il che, ironicamente, è un gioco di status: un tentativo di degradare gli altri e quindi di elevarci.
Dixit 
